A fronte di una crisi che non sembra voler allentare la presa, il settore dell’artigianato 2.0 è in forte sviluppo e sembra promettere bene sul fronte occupazionale. Ma chi è l’artigiano duepuntozero?
Artigianato 2.0
L’artigiano 2.0 è quello che utilizza i materiali più disparati, sia tradizionali che ad alto contenuto tecnologico, e li lavora su commissione, in piccola scala; a volte fa prototipazione per lo sviluppo di prodotti da produrre poi in economia attraverso veri e proprio processi industriali. In ogni caso l’essenza del lavoro di queste nuove figure è nell’adattabilità e configurabilità dei progetti, aspetto che determina la competitività del lavoro su commissione, o di ricerca, rispetto alle pratiche industriali.
I suoi strumenti sono macchinari di precisione programmati e guidati dall’informatica: il più classico è la printer 3d, una stampante che realizza modelli 3d con materiali a basso punto di fusione, come filamenti in abs pla nylon gomma. In realtà ciò che conta è il principio: la costruzione di un oggetto 3d attraverso la sovrapposizione di successivi layer di materiale che solidifica al contatto con l’aria: dal cioccolato, per creazioni dolci e scenografiche, al cemento, per la “stampa” rapida e automatizzata di piccoli edificio parti di essi.
Le stampanti degli artigiani digitali non aggiungono solo materia, alcune lavorano per sottrazione: le fresatrici di precisione possono scavare blocchi di materiale più o meno duro fino a ricavarne l’oggetto desiderato (e programmato); le tagliatrici laser possono ridurre uno strato di materiale nella forma desiderata: da fogli di compensato, per esempio, possono ricavarsi i componenti di una struttura tridimensionale.
La stampa 3d richiede la buona conoscenza dei programmi di modellazione tridimensionale, delle caratteristiche fisico-chimiche dei materiali impiegati, e della macchina, spesso essa stessa fortemente customizzata, quando non un vero e proprio prototipo.
Uno scanner 3d può aiutare molto in fase di progettazione, in quanto traduce automaticamente un oggetto fisico esistente in un file leggibile dai programmi di modellazione.
Cosa sono i Fablab
L’armamentario per la realizzazione di modelli 3d è costoso, come costosi sono i materiali impiegati: un ostacolo ai pionieri che vogliono provare a reinventarsi in questo settore. Le macchine, inoltre, non sono nemmeno facilmente reperibili. Per superare queste problematiche, incoraggiando la sperimentazione e la condivisione in un settore così fortemente innovativo, si sono diffusi i fablab, una sorta di piccola officina 2.0 dotata di una serie di strumenti computerizzati in grado di realizzare, in maniera flessibile e semi-automatica, un’ampia gamma di oggetti. Il concetto di fablab è nato al MIT di Boston, quando è nata l’esigenza di disporre di un laboratorio in grado di collaborare a distanza ed elaborare progetti in forma digitale.
Nel tempo il modello del fablab è arrivato in Italia, moltiplicandosi per interesse di enti pubblici e per iniziative private collettive. Il costo di una officina 2.0 di base si aggira sui 10.000€, un prezzo alla portata degli istituti scolastici (sta aumentando il numero di quelli che ne sono provvisti), Enti Locali, e associazioni nate all’uopo, che permettono di ripartire la spesa in quote più comode.
Nel Lazio il concetto di fablab è stato promosso dalla Regione, che ne ha costruiti 5, uno per provincia, incardinati nei BIC. Grazie al finanziamento pubblico è possibile accedere a queste strutture in maniera libera, anche se la fruizione è vincolata alla sola prototipazione.
Se hai un’idea innovativa per un prodotto fisico nei fablab puoi trovare gli strumenti e le skill per realizzarlo: una volta ottenuto il prototipo, e verificata la reale utilità e potenzialità per il mercato, sarà più semplice e meno rischioso organizzarne la produzione di massa, così come più agevole sarà la possibilità di convincere le banche a finanziare l’operazione, o le aziende ad acquistarne i diritti.